
Credit: milano.notizie.it
A qualche settimana dalla notizia dell’omicidio del ventunenne Willy Monteiro Duarte, le opinioni iniziano a sedimentarsi e il senso di sgomento e smarrimento lascia spazio ad alcune riflessioni che è necessario porsi dal punto di vista educativo.
Lo scenario, per sommi capi, è quello delle province di Roma e Frosinone, Colleferro dove si svolge la vicenda e Artena il comune di provenienza dei giovani aggressori, dove è stato possibile che in una notte, per futili motivi legati alla presunta difesa di virilità per uno “sguardo di troppo” ad una ragazza, si sia scatenata una rissa tra comitive in grado di portare al cruento pestaggio fino all’omicidio di un giovane adulto intervenuto per separare i partecipanti nello scontro, in difesa dell’amico attaccato.
La vicenda giudiziaria coinvolge diverse persone tra i 22 e i 26 anni, i fratelli Gabriele e Marco Bianchi, Francesco Belleggia e Mario Pincarelli, che sono attualmente indagate, ma in questo articolo non torneremo se non tangenzialmente sui fatti, perché ciò che ci preme comprendere, come molte voci sul web hanno fatto notare al di fuori del circuito mediatico più diffuso, sono le condizioni che hanno reso possibile un fatto di cronaca tragico, apparentemente insensato e ingiustificato.
Analizzando i titoli delle testate più note, si può riconoscere una tendenza alla polarizzazione del dibattito tra la ricostruzione dell’immagine di Willy, ormai diventata un’icona sui muri di tutta Italia, come un ragazzo di seconda generazione esemplare e l’analisi meticolosa della personalità violenta e delle abitudini cruente di Marco e Gabriele Bianchi, un’operazione comunicativa che ha facilitato la semplificazione della vicenda come uno scontro tra vittima e carnefici.
Spostando l’attenzione dai profili di coloro che hanno commesso questo crimine e chi lo ha subito, si intravede sbiadito lo scenario di una provincia dove la violenza è normalizzata, nei discorsi, nella cultura e stratificata nei vuoti del sistema. Questo quanto afferma la giornalista Anastasia Latini su The Vision, testata giornalistica online, con un articolo di denuncia in cui mette in luce il ruolo dell’assenza dello Stato in questo omicidio.
Il fenomeno della povertà educativa, espresso dai due indici di abbandono scolastico (abbandono dopo la licenza media) e incidenza di neet (giovani non inseriti in percorsi di istruzione e formazione, né occupati), segna nei territori presi in considerazione un picco rispetto alla media nazionale e questo dato dovrebbe assumere ai nostri occhi maggiore rilevanza rispetto, ad esempio, alle arti marziali praticate dai giovani indagati, eppure rimane in ombra.
I discorsi costruiti su questa vicenda sono vari e si concentrano di volta in volta su una problematica: l’uso della violenza legato alle arti marziali, lo spaccio e il consumo di droga, l’ideologia fascista, la questione razziale, il machismo e sessismo alla base delle motivazioni dello scontro, ma il monito che ci lascia è proprio quello di riflettere sul contesto, di mettere a fuoco lo sfondo e iniziare a unire i puntini, riconoscendo la matrice comune a questi fenomeni. La comunità e la società civile si sono strette intorno alla famiglia e per il momento è stata data voce al dolore e allo sconcerto. Eppure la domanda educativa resta aperta: quale tipo di società o comunità corre maggiori rischi e quale invece può ostacolare escalation di violenza come questa? Quali sono i fattori protettivi?
Dall’Ordine degli psicologi della regione Lazio arriva il monito dell’esigenza di un’educazione fisica e relazionale attraverso le regole e le parole per imparare a gestire i conflitti, mettendo in risalto che dove abbiamo un allentamento del tessuto sociale e culturale tale educazione viene meno.
Quando ci interroghiamo sul fenomeno della violenza (di genere, tra pari, sui minori ecc.) quale punto di vista scegliamo di adottare? E’ solo una questione intrapsichica relativa al comportamento dell’aggressore, oppure è anche una questione interpersonale e sociale? E’ importante porsi questa domanda perché la risposta condizionerà inevitabilmente le nostre strategie lettura, prevenzione e soluzione del fenomeno.
Tornando all’attualità, non abbiamo modo di soffermarci sulla strumentalizzazione politica di questo caso che tuttavia meriterebbe un’analisi a parte, tuttavia non possiamo mancare di registrare come iniziativa degna di nota, quella del Presidente Mattarella che ad un mese dall’evento, il 7 ottobre 2020, ha conferito la medaglia d’oro al valor civile alla memoria di Willy Monteiro Duarte, spostando nuovamente i riflettori del dibattito, dalle qualità dei “carnefici” al comportamento di “generosità, altruismo e coraggio” che starebbe all’origine del coinvolgimento di Willy nella vicenda.
Con questo atto si riconosce un valore, quello dell’altruismo, importante strumento di contrasto alla violenza perciò la domanda rimane aperta: quale modello di comunità, agenzia educativa, Stato in senso lato e quali azioni concrete possono promuovere questo valore tra i giovani?
Se non ritorniamo sistematicamente su questa domanda richiamo di partecipare inconsapevolmente al processo di anestesia collettiva sulla violenza in tutte le sue forme.
Leave A Comment